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Diritto di FamigliaDiritto Privato

IL COMODATO IN AMBITO FAMILIARE: TUTELE E LIMITI

By 22 Settembre 2017Ottobre 1st, 2017No Comments

Assai sovente giovani coppie vanno ad abitare in un immobile loro concesso in comodato da genitori o parenti.

La disciplina e l’effettiva durata di tali rapporti, che quasi mai vengono formalizzati, hanno dato adito a contrasti interpretativi, a partire dalla qualificazione giuridica del rapporto negoziale e la sorte di questo.

Il nostro ordinamento conosce due distinti tipi di contratto di comodato: il comodato in senso proprio, disciplinato dagli art. 1803 e ss. del codice civile e il comodato c.d. precario, regolato dall’art. 1810 del codice civile.

Il comodato precario è caratterizzato dalla mancata pattuizione di un termine per la restituzione della res concessa e dalla mancata previsione della sua destinazione, cosicché il comodante ha diritto di richiedere in ogni momento la restituzione della cosa. In sostanza, la permanenza del comodatario è rimessa alla volontà del comodante, cui è riconosciuta la facoltà di recesso ad nutum.

Il comodato ordinario, invece, è soggetto a regole tese a contemperare le rispettive esigenze delle parti contrattuali.

L’art. 1809 c.c. concerne, infatti, il comodato sorto con la consegna di una cosa per un tempo determinato o per un uso che consenta di stabilire la scadenza contrattuale. In tal caso, il diritto alla restituzione della res è riconosciuto al comodante solo se egli alleghi la sopravvenienza di un bisogno urgente ed imprevisto.

Per anni l’inquadramento giuridico del comodato in ambito familiare ha visto contrapporsi due orientamenti  che hanno, infine, condotto alle Sezioni Unite ad un intervento nomofilattico.

Una prima interpretazione, di impronta familiaristica, evidenziava come la comprovata destinazione di un immobile a casa familiare imponesse l’applicazione della disciplina di cui all’art. 1809, comma 2, c.c. con conseguente diritto del coniuge affidatario di continuare a godere della casa già coniugale.

Secondo tale indirizzo, la sopravvenuta separazione dei coniugi con provvedimento di assegnazione  della casa familiare al coniuge affidatario di figli minori o maggiorenni non autosufficienti non muta la natura e il titolo di godimento, giacché la durata del comodato – in assenza di predeterminazione di durata – è da ritenersi intimamente correlata alla destinazione impressa alla cosa, per implicita o espressa volontà del comodante.

Quindi il comodante sarebbe tenuto a consentire la prosecuzione del rapporto negoziale da parte del genitore affidatario, salva la sola ipotesi di sopravvenuta ed urgente necessità in capo al medesimo di poter disporne.

Di orientamento contrario i militanti della tesi strettamente contrattualistica o negoziale, secondo cui il comodato in ambito familiare senza previsione del termine di restituzione dell’immobile, è riconducibile al precario, cosicché la crisi coniugale e la conseguente rottura del vincolo di convivenza legittimerebbero il proprietario a pretendere l’immediata restituzione del bene, a nulla rilevando l’eventuale provvedimento di assegnazione da parte del giudice.

A comporre il contrasto è intervenuta  la sentenza 29.09.2014 n. 20448 delle Sezioni Unite, con cui la Suprema Corte ha definitivamente statuito che la fattispecie in esame va inquadrata nel comodato c.d. ordinario e disciplinata secondo il disposto dell’art. 1809 comma II c.c..

Chiarisce, infatti, l’arresto che si tratta  “di contratto sorto per un uso determinato e dunque, come è stato osservato, per un tempo determinabile per relationem, che può essere cioè individuato in considerazione della destinazione a casa familiare contrattualmente prevista, indipendentemente dall’insorgere di una crisi coniugale. È grazie a questo inquadramento che risulta senza difficoltà applicabile il disposto dell’art. 1809 comma secondo, norma che riequilibra la posizione del comodante ed esclude distorsioni della disciplina negoziale”.

La tesi solidaristica proposta dalle Sezioni Unite ha trovato conferma in più recenti sentenze (Cass. Civ. Sez. VI 21.11.2014 n. 24838; Cass. Civ. Sez. III 9.2.2016 n. 2506; Cass. Civ. Sez. III 10.2.2017 n.  3553).

In conclusione, il rapporto negoziale potrà proseguire laddove l’occupante dimostri che l’immobile era stato concesso per soddisfare le esigenze di vita familiare e non già in via meramente transitoria, fermo restando che al comodante è sempre concessa la facoltà di richiedere la restituzione del bene, ove dimostri la necessità sopraggiunta di disporne.

 

Il presente scritto rappresenta unicamente l’opinione dell’autore Avv. Massimo Massara